martedì, maggio 01, 2018

Dibattito sulla dislessia: i miti principali

Il testo qui riprodotto è la traduzione di un articolo apparso nel maggio 2014 sul periodico dell'associazione Learning Difficulties Austrialia. L'articolo ha un taglio divulgativo, e rimanda al libro The Dyslexia Debate per una puntuale analisi delle numerose e convincenti ricerche scientifiche che dimostrano la problematicità dell'approccio medicalizzante nei confronti delle difficoltà di apprendimento.


Dibattito sulla dislessia: alcuni miti chiave

di Julian Elliott
(direttore del Collingwood College e ordinario di pedagogia all'Università di Durham)
Nel nostro libro The Dyslexia Debate, recentemente pubblicato da Cambridge University Press, Elena Grigorenko ed io abbiamo cercato di fornire un dettagliato esame di cosa si intenda per dislessia, nei suoi termini concettuali, operativi e rilevanti per la valutazione e l'intervento.
Per raggiungere questo obiettivo abbiamo richiamato conoscenze esistenti su un certo numero di discipline collegate: genetica, neuroscienze, psicologia e pedagogia. La nostra conclusione era che il termine dislessia non avesse piu valore per la ricerca scientifica o per la pratica didattica, e di conseguenza abbiamo raccomandato che questo termine non fosse più utilizzato. Al suo posto si dovrebbe usare un più dettagliato resoconto della specifica modalità di lettura e delle difficoltà associate.
Siccome il libro adotta un approccio fortemente scientifico che non ne rende facile la lettura da parte del non specialista, nell'articolo che è riprodotto di seguito ho cercato di delineare alcune delle questioni chiave e delle conseguenti implicazioni per la pratica didattica e clinica.


Alla ricerca di una diagnosi: cinque miti chiave sulla dislessia

Molti bambini faticano ad imparare a leggere, ed alcuni sperimentano problemi di alfabetizzazione durante tutta la loro vita.
Quando queste difficoltà diventano evidenti la reazione comune di chi osserva si sviluppa entro queste linee: "Forse tuo figlio soffre di dislessia. Sarebbe saggio sottoporlo ad un controllo".
Quando viene diagnosticata la dislessia, la reazione dei genitori è spesso: "Grazie al cielo la vera natura del problema di mio figlio è stata finalmente scoperta. Magari fosse stato diagnosticato prima, ma almeno ora avremo il tipo giusto di aiuto di cui mio figlio ha bisogno.”
Celate dietro queste credenze si possono individuare una serie di miti:
  • Mito A: la dislessia è uno specifico tipo di problema che si trova solo in una parte dei bambini che hanno difficoltà a decodificare il testo.
  • Mito B: sono necessari esami speciali per identificare quali di questi bambini sono dislessici e quali sono solo cattivi lettori.
  • Mito C: diagnosticare la dislessia eviterà il rischio di falsi giudizi di pigrizia o stupidità.
  • Mito D: una diagnosi di dislessia aiuterà gli insegnanti a scegliere i modi più efficaci per intervenire.
  • Mito E: una diagnosi di dislessia dovrebbe comportare, giustamente, l'assegnazione di speciali misure (in particolare agli esami) e di risorse aggiuntive.
La realtà è che ciascuna di queste credenze è controversa.

Mito A: la dislessia è uno specifico tipo di problema che si trova solo in una parte dei bambini che hanno difficoltà a decodificare il testo.

Mentre molte persone presumono che gli specialisti siano d'accordo su cosa si intenda con il termine dislessia, la realtà è che essa è intesa in molti modi differenti. Non sorprende affatto quindi che le stime dell'incidenza della dislessia spesso variino dal 4 al 20 per cento della popolazione.Al di là di un accordo circoscritto su cosa sia la decodifica di un testo, la questione inizia a complicarsi. Per alcuni la dislessia si riferisce semplicemente a tutti coloro che sperimentano particolare difficoltà nella decodifica del testo. Identificare questo problema in un individuo è relativamente facile e gli insegnanti del bambino dovrebbero essere in grado di farlo attraverso le osservazioni in classe e le canoniche verifiche di lettura. Altri suggeriscono, tuttavia, che non tutti coloro che faticano a leggere siano dislessici e per questo motivo sia necessaria una valutazione clinica dettagliata per identificare quali tra i cattivi lettori abbiano la dislessia e quali no. A volte quest'ultimo gruppo è considerato avere una “normale” difficoltà di lettura. Come dimostrato nel libro The Dyslexia Debate, le assunzioni di base per selezionare un sottogruppo dislessico da un bacino più ampio di cattivi lettori sono altamente problematiche. Mentre un certo numero di sintomi si trovano spesso in campioni composti da cattivi lettori, non è del tutto chiaro quali di questi sintomi potrebbe essere necessario per una diagnosi di dislessia.
Alcuni sostengono sia un grave errore associare la dislessia "unicamente" a una decodifica difficoltosa, poiché la dislessia comporterebbe problemi con diverse abilità scolastiche quotidiane, e con abilità organizzative e di autoregolazione. In effetti secondo molti medici è possibile avere la dislessia anche quando le competenze di alfabetizzazione sono solide. Tale posizione complica enormemente le cose e apre le porte per richieste di risorse e speciale assistenza. Agli studenti universitari con diagnosi di dislessia per esempio, la cui lettura è relativamente solida, può essere consentito richiedere un aiuto relativo ad abilità di studio più generali come organizzare e strutturare i compiti scritti. [In Italia in ambito universitario solitamente viene accordato più tempo per lo svolgimento di compiti scritti, tra i quali le prove di selezione per i concorsi e i test di accesso ai corsi universitari a numero chiuso NdT]
Tali differenze di opinione rendono controverso qualsiasi suggerimento per fare in modo che le diagnosi di dislessia possano essere tra loro coerenti, significative e valide. Le diagnosi possono essere le benvenute, ma difficilmente possono essere considerate scientifiche.
Alcuni dei tanti modi in cui la dislessia è intesa da ricercatori, medici e insegnanti possono essere trovati nella seguente lista. Il libro The Dyslexia Debate spiega in dettaglio i problemi associati a queste concezioni.

  • Chiunque sia in difficoltà nella decodifica accurata di una singola parola.
  • Chiunque sia in difficoltà nella decodifica accurata e/o fluente.
  • Quelli per i quali la decodifica è semplicemente un elemento di una condizione dislessica più pervasiva, caratterizzata da una gamma di caratteristiche in comorbilità. Questo può includere i cosiddetti "dislessici compensati" che non presentano più difficoltà di lettura.
  • Coloro che in un appropriato test di lettura totalizzano il punteggio più basso nella distribuzione statistica normale. Il punteggio limite può variare notevolmente e in genere varia dal 5 al 20 per cento. [In Italia esistono situazioni diversificate: per alcune prove diagnostiche la soglia di accettabilità è fissata al 5° percentile, per altre a -2ds, cioè a meno due deviazioni standard dal valore medio per la popolazione NdT]
  • Coloro le cui difficoltà di decodifica non possono essere spiegate in modi alternativi (ad es. a causa di una grave compromissione intellettiva o sensoriale, di uno svantaggio socio-economico, di una scarsa istruzione o di una difficoltà emotiva/comportamentale).
  • Quelli per i quali esiste una discrepanza significativa tra la prestazione nella lettura e il QI.
  • Quelli la cui difficoltà di lettura è inaspettata.
  • Quelli la cui pessima lettura contrasta con la capacità in altri campi intellettuali e scolastici.
  • Quelli i cui problemi di lettura sono determinati biologicamente.
  • Coloro i cui problemi di lettura sono contrassegnati da determinate difficoltà cognitive associate (in particolare: problemi fonologici, deficit di denominazione rapida [tramite i cosiddetti test RAN - Rapid automatized naming NdT] e di memoria verbale).
  • Quei cattivi lettori che presentano anche una serie di sintomi che si trovano comunemente nei dislessici (ad esempio: scarsa abilità motorie, aritmetiche o linguistiche, difficoltà visive e bassa autostima).
  • Coloro che dimostrano una discrepanza tra la lettura e la comprensione dell'ascolto.
  • Coloro che non riescono a compiere progressi significativi nella lettura anche se sottoposti a forme di intervento di alta qualità e di provata efficacia.

Mito B: sono necessari esami speciali per identificare quali di questi bambini sono dislessici e quali sono "solo cattivi lettori".

Uno dei più grandi miti associati alla dislessia è che essa dovrebbe essere
definita in relazione all'intelligenza.
La cosiddetta "diagnosi per discrepanza" riconosce come autentici dislessici solo quelli il cui livello di lettura è significativamente peggiore di quanto ci si aspetterebbe sulla base della loro intelligenza (tipicamente misurata da un test del QI).
La ricerca negli ultimi 20 anni ha dimostrato la follia di questa convinzione.
È sconcertante che mentre la diagnosi per discrepanza è stata screditata (e non è più sostenuta dalle associazioni dei dislessici [in Italia sono sostenute entrambe le posizioni NdT]) essa è ancora ampiamente utilizzato da chi fa le diagnosi.
Nel nostro libro delineiamo le ragioni di un tale atteggiamento:
  1. Il legame tra QI e dislessia ha una lunga storia e attualmente è intriso di pregiudizi diffusi che non sono facili da ribaltare.
  2. Quelli con QI che li colloca nell'1% più basso della popolazione (e che solitamente faticano per restare nella scolarizzazione tradizionale a causa delle loro difficoltà intellettuali) spesso incontrano problemi nell'apprendimento della lettura.
  3. Il QI è spesso utilizzato come criterio quando si selezionano i "dislessici" per le ricerche accademiche. Questa selezione tuttavia viene solitamente effettuata per isolare i fattori cognitivi sottostanti, fattori che altrimenti potrebbero non essere facilmente rivelati, non perché questo debba essere considerato un criterio diagnostico significativo.
  4. Alcuni sostengono il continuo uso del QI nella valutazione della dislessia a causa di una avvertita mancanza di procedure alternative. Una tale posizione ovviamente è ingiustificabile.
  5. I test del QI sono stati a lungo utilizzati negli Stati Uniti e in molti altri paesi per stabilire la necessità di aiuti educativi aggiuntivi. Pratiche di lunga data come queste non sono facili da eliminare.
  6. Esiste una chiara relazione tra QI e abilità di lettura di ordine superiore quali inferenza, deduzione e comprensione del testo. Pertanto i test del QI possono essere utili per fornire una comprensione delle difficoltà di apprendimento più generali.
  7. La somministrazione e la gestione dei test del QI è riservata a determinati professionisti [in Italia neuropsichiatri e psicologi NdT] e ha quindi un ruolo importante nel mantenimento e nella salvaguardia dell’autorevolezza e dello status professionale. 
  8. L'errata concezione secondo cui i dislessici sono tutti individui altamente intelligenti che hanno solo problemi con la decodifica dei testi scritti (di per sé un compito cognitivo di basso livello) può dimostrarsi una idea forte e liberatoria.
Alcuni sostengono che mentre i test del QI sono inappropriati per una diagnosi di dislessia, altri test dei processi cognitivi sottostanti (ad esempio quelli relativi alla memoria di lavoro o alla denominazione rapida) possono essere impiegati per aiutare a diagnosticare la dislessia. Il libro The Dyslexia Debate esamina questo problema nel dettaglio mostrando che studi sull'argomento hanno fornito risultati contrastanti con un valore limitato nella progettazione di forme efficaci di intervento per migliorare la lettura. Le nostre attuali conoscenze indicano che in generale è meglio concentrarsi direttamente sulle abilità scolastiche piuttosto che cercare di migliorare i processi sottostanti.


Mito C: diagnosticare la dislessia eviterà il rischio di falsi giudizi di pigrizia o stupidità.

Molti cattivi lettori sono stati indebitamente feriti dall'essere trattati come privi di intelligenza e una diagnosi di dislessia sembra spesso un modo efficace per contrastare questo fenomeno. Il vero problema da affrontare tuttavia non è che la dislessia non sia stata identificata in precedenza, ma piuttosto che le ipotesi di scarsa intelligenza siano state fatte sulla base delle capacità di lettura. In realtà il QI e la capacità di decodifica sono in gran parte non correlate e per questo motivo gli insegnanti devono assicurarsi che le scarse competenze di alfabetizzazione non si traducano in richieste di classe che non riflettono le vere capacità intellettuali del bambino.
L'accusa di indolenza è invece più problematica. Certamente molti bambini diventeranno meno motivati ​​e impegnati a scuola nel momento in cui faticano nell'affrontare l'apprendimento della lettura. In questi casi alcuni insegnanti potrebbero descrivere il bambino come pigro. Questo termine ha un tono dispregiativo che non è utile ed è certamente meglio evitarlo. Il compito chiave è incoraggiare il lettore in difficoltà a massimizzare lo sforzo anche quando non sono subito evidenti significativi miglioramenti.
Un particolare rischio di usare il termine dislessia per contrastare l'attribuzione di pigrizia è che questo giudizio di pigrizia potrebbe essere visto come una descrizione appropriata per i bambini con difficoltà nella lettura ai quali non è stata fatta una diagnosi di dislessia.
In definitiva usare il termine dislessia per evitare che un bambino sia impropriamente etichettato come pigro o stupido significa non riuscire ad affrontare il vero problema dei giudizi negativi inappropriati.


Mito D: una diagnosi di dislessia aiuterà gli insegnanti a scegliere i modi più efficaci per intervenire.

È diffusa la convinzione che una diagnosi di dislessia possa aiutare a individuare forme appropriate di intervento educativo. Questo è completamente sbagliato. Non esistono trattamenti efficaci per coloro che siano giudicati colpiti da dislessia che differiscano dalle pratiche accettate per tutti i bambini con difficoltà nella decodifica. Ciò che è chiaramente provato è che l'uso estensivo dei cosiddetti approcci "a tutto campo", cioè didattiche che minimizzano il ruolo dell'insegnamento fonetico strutturato e mirato come elemento chiave di un programma di alfabetizzazione più generale, è inappropriato per i bambini con difficoltà nella lettura. Una notevole quantità di prove scientifiche ha chiaramente dimostrato che coloro che hanno difficoltà ad acquisire capacità di lettura, rispetto ai coetanei che leggono normalmente, richiedono in genere sulla lettura una didattica più individualizzata, più strutturata, più esplicita, più sistematica e più intensa.
Ricerche scientifiche di alta qualità che cercano di individuare modalità per affrontare gravi difficoltà di lettura spesso si riferiscono ai loro partecipanti come a dislessici, ma nella grande maggioranza dei casi questo termine viene usato come descrittore generico senza differenziazione tra dislessici e altri bambini con difficoltà di decodifica.
Ad oggi gli studi scientifici accumulati finora non hanno supportato l’idea che i bambini con gravi difficoltà di lettura (che siano considerati dislessici o meno) possano essere aiutati in modo significativo dall'uso di:
  • esercizi fisici o allenamento motorio percettivo (a volte etichettato in modo fuorviante come "basato sul cervello" [ad esempio: psicomotricità NdT]),
  • lenti colorate o sovrapposizioni,
  • terapie relative alla visione,
  • programmi di allenamento uditivo,
  • integratori di acidi grassi (ad es. olio di pesce), e
  • retroazione biologica [biofeedback NdT]

Mito E: una diagnosi di dislessia dovrebbe comportare, giustamente, l'assegnazione di speciali misure (in particolare agli esami) e di risorse aggiuntive.

Sono qui presenti due problemi chiave. In primo luogo c'è la questione dell'imparzialità e dell'equità. Ci sono sicuramente molti cattivi lettori che, per le più varie ragioni, è più difficile riescano ad essere etichettati come dislessici. Il mito E risulta particolarmente problematico quando provoca una mancanza di aiuti adeguati a coloro che non ricevono una diagnosi di dislessia.
In secondo luogo, dato che le fondamenta di una diagnosi di dislessia sono altamente discutibili, allocare risorse su basi non scientifiche è ingiustificabile.
Piuttosto che basarsi su una diagnosi di dislessia, le risorse specialistiche dovrebbero essere strettamente legate all'andamento nel tempo dell'acquisizione e dello sviluppo di specifiche abilità di alfabetizzazione. Un approccio sempre più seguito per aiutare i bambini con varie tipologie di difficoltà di apprendimento (lettura inclusa), è noto come Risposta all'intervento [Response To Intervention, abbreviato in “RTI” NdT]. Questo tipo di interventi iniziano immediatamente appena un bambino ha difficoltà scolastiche. Ciò è preferibile piuttosto che aspettare che il bambino continui ripetutamente a fallire e infine, alla luce di tali fallimenti, sollecitare una valutazione nella speranza di ottenere una (discutibile) diagnosi. Secondo il modello teorico della “risposta all'intervento (RTI), il tipo di intervento utilizzato dovrebbe essere corroborato da risultati scientifici di alta qualità e la quantità e la natura dell'aiuto fornito dovrebbero essere determinate in gran parte sulla base della risposta del bambino nel corso degli appositi interventi.

Conclusioni

Chiunque osservi l'angoscia di un bambino che lotta per leggere, sicuramente reagirà con un misto di tristezza e solidarietà. Per i genitori di questi bambini il dolore e la mortificazione saranno spesso aggravati da un senso di frustrazione, di impotenza e di incertezza su come poter aiutare. Una cosa che molti genitori sentono di poter fare è premere in qualche modo a favore del loro bambino. In tali circostanze non sorprende che così tante famiglie sollecitino una valutazione della dislessia con tutti i vantaggi che essa promette. Tuttavia, come il libro The Dyslexia Debate dimostra, i genitori vengono ingannati affermando che tali valutazioni sono scientificamente rigorose e che una diagnosi indicherà forme di trattamento più efficaci.
È sicuramente giunto il momento di adottare un approccio più scientifico che garantisca che tutti i bambini che incontrano difficoltà di alfabetizzazione ricevano l'aiuto di cui hanno bisogno.


Julian Elliott è direttore del Collingwood College e ordinario di pedagogia all'Università di Durham.
Email: joe.elliott@durham.ac.uk


Dal Bollettino di LDA,
Volume 46, nn° 1 e 2 maggio 2014
Learning Difficulties Australia ₋ http://www.ldaustralia.org
Per ulteriori informazioni contattare: enquiries@ldaustralia.org


Articolo originale pubblicato qui:


Traduzione di Stefano Longagnani
(il colore di alcune parti di testo modificato dal traduttore).

NdT: il testo The Dyslexia Debate è presentato in questo post.

4 commenti:

  1. Bell'articolo anche questo: https://www.ldaustralia.org/client/documents/BULLETIN_MAY14-CLARKE.pdf

    RispondiElimina
    Risposte
    1. Link non più raggiungibile. Ora lo si può trovare qui. https://paperzz.com/doc/9204664/alison-clarke---learning-difficulties-australia

      Elimina
  2. Anche questo meriterebbe la straduzione...
    https://www.ldaustralia.org/client/documents/BULLETIN_MAY14-ELLIOTT.pdf

    RispondiElimina
  3. Sul mito degli stili di apprendimento...
    https://www.apa.org/news/press/releases/2019/05/learning-styles-myth#

    RispondiElimina

In evidenza

Elenco di articoli sul corsivo

Questo elenco di articoli è per colpa mia un guazzabuglio poco ordinato. Sono presenti sia articoli divulgativi di testate giornalistiche...