sabato, maggio 30, 2015

Ricerca sperimentale "Nulla dies sine linea"

L'Università di Roma 3 ha portato avanti lo scorso anno un interessante ricerca sperimentale sull'utilizzo della scrittura manuale nella scuola primaria. Qui di seguito qualche link sui risultati ottenuti:
 Scrivere, insomma, funziona!

venerdì, maggio 29, 2015

I medici non son più come una volta...

Gorgia, Platone,

LXXVI
“ […] SOCRATE: Dimmi, dunque, in conclusione, a quale tipo di cura dello stato m'inviti: a quella di polemizzare con gli Ateniesi perché diventino quant'è possibile migliori, comportandosi come un medico, o a quella di rendersi loro servo, cercando solo di compiacerli? Dimmi la verità, Callicle! Sì, è giusto che tu, che con tanta franchezza hai cominciato a parlare nei miei riguardi, tu concluda esprimendo per intero il tuo pensiero. Ed ora parla franco e liberamente. 

CALLICLE: Dico, dunque, che la via su cui t'invito è quella di farsi servo dei cittadini.
 
SOCRATE: Nobile amico mio, tu, dunque, m'inviti sulla via dell'"adulazione". 

CALLICLE: E se ti piace, chiamala pure la via del Misio; ma se non farai come ti consiglio... 

SOCRATE: Ma via, non ripetere quello che già tante volte mi hai detto, che il primo venuto, se vuole, riuscirà a farmi condannare a morte, per non costringermi a risponderti ancora una volta: "Un malvagio farà morire un buono!", e non stare neppure a ripetermi che chiunque mi spoglierà di quel poco che ho, per non costringermi a risponderti ancora una volta: "Chi mi avrà spogliato non ne ricaverà alcun utile; anzi, come ingiustamente avrà rubato, così ingiustamente ne userà; e se con ingiustizia, vergognosamente, e se con vergogna, in maniera davvero cattiva"!

LXXVII
CALLICLE: Ma Socrate, come puoi essere così profondamente convinto di non dover mai patire cose del genere, quasi tu vivessi fuori del mondo, e non potessi, invece, essere trascinato in tribunale chi sa mai da quale vile e spregevole uomo?
 
SOCRATE: Sarei proprio uno stupido, Callicle, se non sapessi che in questa città a chiunque possono capitare guai del genere. Ma so anche questo - eccome! -, che, se dovrò essere trascinato in tribunale, con il rischio d'esser condannato a una delle pene da te accennate, colui che mi accuserà sarà un malvagio - nessun uomo onesto potrà mai trascinare in tribunale chi non abbia commesso alcuna colpa - per cui nulla di strano vi sarebbe se venissi condannato a morte. Vuoi ti dica perché me l'aspetto?

CALLICLE: Certo! 

SOCRATE: Credo di avere posto la mano, insieme a pochi Ateniesi - per non dire d'essere il solo -, sulla vera arte politica, e d'essere il solo, oggi, a metterla in pratica. Ecco perché io, non parlando mai per rendermi gradito, non avendo per scopo il piacere, ma il bene, rifiutandomi di fare tutte quelle belle cose che mi consigli, in tribunale resterò senza parola. Ripeto, dunque, a te quello che dianzi dicevo a Polo: rischierò d'esser giudicato come sarebbe giudicato da un gruppo di ragazzi un medico accusato da un cuoco. Vedi un po' tu come potrebbe difendersi un medico che si trovasse in una situazione del genere, quando l'accusatore dicesse: "Ragazzi, quanto male costui ha fatto anche a voi; anche i più piccoli egli ‘corrompe' con il ferro e col fuoco, li ‘angoscia' facendoli dimagrire e soffocandoli, li obbliga a prendere amarissime bevande, fa patire loro la fame e la sete; né certo vi tratta come facevo io, che per voi preparavo svariati e saporiti piatti!". Cosa mai pensi che potrebbe dire un medico che si trovasse in una si brutta situazione? E se dicesse la verità?, se dicesse: "Ragazzi, tutto quello che ho fatto, l'ho fatto per la vostra salute", fin dove credi che si diffonderebbero le grida di quei giudici? Non farebbero un enorme baccano? […] ”

Paradigma

Usciamo da questa "logica" positivista. L'educazione non è una cura per la malattia dell'ignoranza. Noi non siamo i nostri geni, e neppure siamo il nostro ambiente. Siamo i nostri sogni. Sembra una cazzata poetica, invece è più reale dei disturbi di apprendimento, delle difficoltà scolastiche, della genialità e via etichettando. Lo so che non mi sto spiegando... La scienza mi affascina perché mette in dubbio, non è dogmatica, non spiega il perché profondo (ci rinuncia in partenza), ma solo i perché di causa effetto. Ma la stessa scienza accarezza i propri limiti sapendo di non dover neppure tentare di superarli (parlo dei limiti epistemologici, cioè della conoscenza in quanto tale... Cosa significa "sapere" qualcosa?). Il significato delle parole cambia... Sono etichette le parole, e ognuno le usa per connotare e denotare qualcosa nel proprio mondo interiore. Un mondo inaccessibile a chiunque, anche a sé stessi. La logica della medicina è 1) individuare una malattia, apporgli una etichetta, per conoscere, per non essere più ignoranti di fronte all'insondabile complessità del creato; 2) cercare una cura, che però, proprio perché "cura", non "rimedia". Cosa vuol dire essere malati? Perché i malati di DSA vanno dal medico? Un altro paradigma è necessario...

lunedì, maggio 25, 2015

The Dyslexia Debate - il libro

AUTORI:
Julian G. Elliott, Università di Durham
Elena L. Grigorenko, Università di Yale, Connecticut
DATA DI PUBBLICAZIONE: marzo 2014
ISBN: 9780521135870

Descrizione

Il libro "The Dyslexia Debate" esamina come è utilizzato il termine "dislessia" e mette in dubbio l'utilità del termine. Mentre molti credono che una diagnosi di dislessia possa far luce sulle difficoltà di apprendimento della lettura, ed aiutare ad identificare le migliori forme di intervento, Julian G. Elliott e Elena L. Grigorenko mostrano che in realtà una diagnosi di dislessia non aggiunge quasi nessuna informazione. In effetti la problematica interpretazione del termine 'dislessico' potrebbe rivelarsi un pessimo affare per molti bambini con difficoltà di apprendimento etichettati con una diagnosi. Questo libro delinea in dettaglio i diversi modi in cui problemi di lettura sono stati identificati, classificati e spiegati. Elliott e Grigorenko passano in rassegna le più recenti ricerche in scienze cognitive, genetica, e neuroscienze, e i limiti di questi campi in termini di azione professionale. Essi quindi forniscono un approccio più utile e scientificamente rigoroso per descrivere i vari tipi di difficoltà di lettura e discutono, in modo empiricamente fondato, le diverse possibilità di intervento.


Recensioni

«Nessun termine ha tanto impedito lo studio scientifico della lettura e la comprensione da parte dell'opinione pubblica delle difficoltà nella lettura. È da tempo necessario il pensionamento del termine. Elliott e Grigorenko forniscono una impressionante rassegna delle prove sul perché questo è il caso. Consiglio vivamente il libro agli insegnanti.»

Keith E. Stanovich, Università di Toronto
«Questo è un libro che stimola la riflessione, che analizza rigorosamente le prove scientifiche e che finisce sfidando molte ipotesi circa il concetto di dislessia. Elliott e Grigorenko non vogliono negare la realtà delle difficoltà di lettura dei bambini, ma mettono in dubbio l'utilità e la validità dei nostri costrutti diagnostici attuali. Lettura essenziale per chiunque sia interessato ai disturbi dello sviluppo neurologico.»
Dorothy Bishop, Università di Oxford

«Questo libro fornisce un'analisi completa e approfondita di tutti gli aspetti della dislessia. Il capitolo sulla valutazione e l'intervento è particolarmente importante per i genitori, gli educatori e i responsabili politici. Un tour de force!»
Gordon F. Sherman, Direttore esecutivo delle scuole The Newgrange e Laurel, Princeton

«Questo libro rappresenta un contributo significativo nel campo della soluzione di questioni fondamentali che stanno alla base della dislessia. Le conoscenze degli esperti sono illustrate su questioni relative alla valutazione e agli interventi. Particolarmente penetrante è l'esame che gli autori svolgono del ruolo della cognizione nei processi di classificazione e intervento. In generale il libro riesce ad affrontare efficacemente le diverse complessità legate al concetto di dislessia.»
H. Lee Swanson, University of California, Riverside

sabato, maggio 23, 2015

La tecnologia fa male ai bambini

Ormai gli studi sull'argomento si moltiplicano. Ad esempio bastano 5 giorni senza lo schermo di un computer per poterne misurare gli effetti nei bambini.
Una ricerca scientifica sperimentale dell'Università di California ha misurato gli effetti del togliere per appena 5 giorni ogni schermo dalla disponibilità di un gruppo di 51 bambini inviati in un centro didattico all'aperto, confrontandoli con un gruppo di controllo analogo per composizione che ha continuato la normale routine scolastica e casalinga. Risultati sorprendenti sulla loro capacità empatica.
Qui altre info al riguardo (sui danni provocati dal troppo tempo davanti ad uno schermo).
Oppure leggere qui dei danni provocati dalla cattiva abitudine di mettere i più piccoli davanti ad uno schermo.
Per non parlare del fatto che la TV cambia diversi ormoni nei bambini, per esempio la melatonina, forse collegata alla precocità nello sviluppo puberale. Si legga qui.
D'altra parte non era necessaria molta scienza per rendersi conto che per un bambino ogni minuto passato davanti al tablet, al TV, al PC, allo smartphone di mamma e papà, è un prezioso minuto sottratto al gioco, all'interazione con l'ambiente o con i propri simili, quindi un minuto sottratto per sempre all'apprendimento ed al positivo sviluppo di una mente in formazione.
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Addendum del 4 giugno 2016
Aggiungo questa ricerca sul calo delle competenze digitali negli adolescenti australiani.
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Addendum del 11 settembre 2016
Ormai sta diventando opinione comune, tanto che appaiono articoli divulgativi sul fatto che la tecnologia fa male all'apprendimento anche su importanti giornali come il Corriere. Un passo dell'articolo: "i tablet tradiscono la promessa originaria di livellamento verso l’alto di tutta la società, e al contrario tendono a perpetuare le differenze di classe. «Il tasso di equipaggiamento dei gadget elettronici è superiore presso i figli cresciuti in famiglia meno fortunate - dice Philippe Bihouix a Libération -. Usano gli smartphone prima, spesso hanno il computer e la tv in camera, mentre nelle famiglie più ricche i genitori limitano l’abuso degli schermi e ritardano l’arrivo del telefono cellulare..."
Escono inoltre libri vari sull'argomento. Oltre al libro sulla riforma digitale della scuola francese citato nell'articolo, che non mi risulta che sia già stato tradotto, in italiano, è uscito questo interessante libro, intitolato "Demenza digitale".
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Addendum del 21 novembre 2016

Escono ormai numerosi articoli, anche sulla stampa mainstream, che parlano dei danni della tecnologia. 


mercoledì, maggio 20, 2015

IL MITO DELLA DISGRAFIA

La DISGRAFIA si può e si deve PREVENIRE.
Dopo l'interesse suscitato dal riuscito incontro con il pedagogista francese Frèdèric Rava sulla dislessia promosso dal gruppo di Modena del Movimento di Cooperazione Educativa, una nuova iniziativa questa volta sulla DISGRAFIA, sulla sua efficace prevenzione e sul suo recupero....
IL MITO DELLA DISGRAFIA: PREVENZIONE E RECUPERO DELLE DIFFICOLTÀ DI SCRITTURA A MANO - La mano è lo strumento espressivo dell’umana intelligenza: essa è l’organo della mente - Maria Montessori in "La scoperta del bambino"
L'incontro promosso dal Comitato Genitori della scuola primaria Giovanni XXIII e dal gruppo di Modena del Movimento di Cooperazione Educativa (MCE), si svolgerà martedì 26 maggio presso i locali della scuola in via Amundsen 70 a Modena, dalle ore 17.45.
Alessandra Venturelli, pedagogista, grafoanalista e rieducatrice della scrittura, co-direttrice e docente del Master di 1° livello in consulente didattico e rieducatore della scrittura per la prevenzione ed il recupero delle difficoltà grafo-motorie (Università di Ferrara), presenterà la sua esperienza professionale basata su 15 anni di ricerca sperimentale sul campo di tipo pedagogico-didattico, in una preziosa occasione di confronto e riflessione.
L’incontro è aperto a tutti. INGRESSO LIBERO
Link all'evento presso il sito internet del MeMo Multicentro Educativo Modena Sergio Neri, che pubblicizza l'iniziativa.

In distribuzione un gadget plastificato ad offerta libera per recuperare costi organizzativi e aiutare la didattica della scuola. Una impugnatura che facilita la scrittura in fase di apprendimento.

domenica, maggio 17, 2015

DSA vuol dire disturbo mentale

DSA è l'acronimo di Disturbo Specifico dell'Apprendimento, codici che iniziano con F81 nella classificazione dell'ICD-10 dell'Organizzazione mondiale della sanità.

L'ICD-10 è la "Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati".

I DSA sono pure compresi nel DSM-V americano.

Il DSM-V è il "Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali" della American Psychiatric Association.

Prima che pensiate che stia dando del disturbato mentale a voi o a vostro figlio è meglio che scriva in bold che sospetto  fortemente che queste "malattie" in molti casi, (non in tutti) siano sovradiagnosticate.

Sovradiagnosticate nel senso che le difficoltà scolastiche ci sono eccome, ma non sono per forza di cose causate da un danno organico o da una predisposizione genetica. L'ipotesi della familiarità o della tara genetica è appunto solo una ipotesi, che passo dopo passo le ricerche dei neuroscienziati stanno in molti casi smontando, o riconducendo in alvei molto più limitati.

Non a caso queste "malattie" nella stragrande maggior parte dei casi non sono diagnosticate mediante analisi di laboratorio oggettive (analisi del sangue, analisi genetiche, ecc.), ma mediante test e prove di performance somministrate al bambino e successivo confronto dei risultati ottenuti con gli standard statistici definiti sulla popolazione "normale". Come appare ovvio, allo stesso test, alla stessa prova di performance, lo stesso bambino può rispondere in modi molto diversi a seconda di situazioni personali le più varie (preoccupazioni, stanchezza, paura, non conoscenza perfetta della lingua, svantaggi socio-culturali, ecc.).

Il forte sospetto è che i cosiddetti DSA siano per la stragrande maggioranza un problema pedagogico, un problema di apprendimento, di abitudini mentali acquisite individualmente o mediante imitazione di persone significative, di storia personale del bambino e delle sue interazioni con l'ambiente familiare e scolastico.

Infatti, come confermano gli stessi ricercatori che ricercano la causa organica, in determinate situazioni didattiche e/o ambientali il "disturbo" non si manifesta.

A parte quel che ne posso pensare io personalmente, mi sembra importante sottolineare come la storiella, spesso raccontata, del DSA quale bambino con un dono speciale, come qualcuno con una diversa modalità di pensiero e via indorando l'amara medicina, dovrebbe apparire molto sospetta, soprattutto se chi la racconta è uno strenuo difensore della sigla DSA (e magari ci guadagna sopra).

sabato, maggio 16, 2015

DSI

DSI - nuovo disegno di legge in parlamento: abbiamo notizia che presto verrà abolita la legge 170 del 2010 (che istituzionalizza i DSA) e sarà sostituita dalla legge 180° (gradi) che introdurrà per gli insegnanti la segnalazione per DSI = Disturbo Specifico dell'Insegnamento. :-)

venerdì, maggio 15, 2015

Medicalizzare

È senso comune, e politicamente corretto, dirsi contrari alla medicalizzazione di ambiti dell'esperienza umana che nulla hanno a che fare con le malattie organiche, come le differenze individuali, le preferenze in ambito sessuale, gli eventi naturali della vita, come la perdita di persone care o la nascita di una nuova vita.

Assistiamo però a questo curioso fenomeno: le stesse persone contrarie alla medicalizzazione difendono contraddittoriamente (alcune in buona fede, altre viziate da profondi conflitti di interessi) istituti come la legge 170/2010, legge che ha aperto le porte della scuola a diagnosi per certificare disturbi mentali, quali vengono considerati dal DSM V o dall'ICD-10 le difficoltà di apprendimento (il titolo dell'ICD-10, ricordiamolo, è "Classificazione Statistica Internazionale delle Malattie e dei Problemi Sanitari Correlati"; il DSM V si intitola "Manuale diagnostico e statistico dei Disturbi Mentali").

Vediamo cosa dice il vocabolario: medicaliżżare v. tr. [dal fr. médicaliser, der. di médical «medicale»]. – Attribuire carattere medico, far rientrare nella sfera della medicina eventi e manifestazioni ritenuti d’altra natura.

Oggi un bambino con difficoltà di apprendimento (che va male a scuola, si diceva una volta) ha ormai poche alternative. Ad un certo punto del suo percorso scolastico qualcuno, un insegnante o un adulto di riferimento, consiglierà alla famiglia di rivolgersi fuori della scuola, in ambito medico psichiatrico.

Cioè, il bimbo va male a scuola... Quindi vado dal dottore....

Questa prassi vi sembra ovvia? Chiedere a un medico di occuparsi di apprendimento? A me no, visto che non stiamo parlando di bambini con dei deficit organici, reduci da un'ischemia, un'operazione al cervello, o un qualche tipo di trauma cranico.

Si sta parlando di bambini normali, con normali capacità cognitive, ai quali dal momento dell'ingresso in questo girone infernale si applicheranno "logiche" completamente irragionevoli che tenteranno di imporre agli insegnanti, spesso riuscendoci, metodologie didattiche mai testate dalla comunità scientifica, come le misure dispensative e gli strumenti compensativi, ostacolando altri approcci didattici e spesso compromettendo l'apprendimento proprio nella fase della vita in cui il cervello è maggiormente plastico e orientato all'apprendimento.

La diagnosi di DSA, la medicalizzazione delle difficoltà scolastiche, sembra però accontentare tutti:
- in primis accontenta il business della certificazione, che arriva a costare centinaia di euro in alcuni studi privati accreditati,
- accontenta il business degli strumenti compensativi, sempre più tecnologici e costosi,
- accontenta il business della riabilitazione e del supporto scolastico a pagamento,
- accontenta i genitori giustamente in ansia per i propri figli, che deresponsabilizzati dell'etichettatura del figlio come bambino con DSA, tirano un sospiro di sollievo;
- accontenta i genitori distratti, che possono cosi occuparsi dei suoi bisogni educativi fornendo cose (computer, tablet, audiolibri) invece che tempo e attenzione,
- accontenta i genitori combattivi, alle prese con insegnanti dai quali giustamente a volte occorre difendersi, fornendo strumenti di difesa e di offesa verso docenti più o meno capaci,
- e soprattutto, non dimentichiamolo, accontenta i docenti peggiori, ai quali con la legge sui DSA è stato fornito un alibi inattaccabile per giustificate la loro impreparazione didattica e i loro fallimenti professionali.

Gli unico che non accontenta sono i bambini, che vivono sulla loro pelle l'essere trattati come diversi, disturbati, malati.

lunedì, maggio 11, 2015

Conferenza di Frèderic Rava

«Il prossimo 12 maggio si terrà a Modena una importante conferenza con un pedagogista francese che ci spiegherà il  perché della sua affermazione: “In pedagogia della Gestione Mentale la dislessia non esiste”. Si badi, la dislessia, non le difficoltà di apprendimento della lettura, che invece di essere "compensate" e "dispensate" devono essere gestite e affrontate.

Infatti nelle difficoltà di lettura, scrittura e calcolo, affrontate con la Pedagogia della Gestione Mentale (del filosofo-pedagogo A. de La Garanderie) ciò che per l’approccio psicologico sarebbe un disturbo, per la Pedagogia Gestione Mentale è un profilo pedagogico personale di apprendimento. Un profilo pedagogico comprensibile solo alla luce del processo di insegnamento-apprendimento che ha caratterizzato la biografia educativa del soggetto che apprende, e quindi le abitudini evocative utilizzate fin dai primi anni di vita. In quest’ottica la difficoltà di lettura è dunque affrontabile con un "progetto di senso" capace di far emergere le "abitudini evocative" da comprendere, rispettare, valorizzare e potenziare per arrivare ad una fluente lettura e scrittura.

La pedagogia della gestione mentale non è più l’unica voce, ora anche altre voci si levano sempre più forti contro quello che appare sempre più un business internazionale, dell’industria mondiale della medicalizzazione.

Tra le importanti critiche alla logica del disturbo presenteremo anche quella di due importanti professori  delle università di Duhram e Yale contenuta nel libro "The Dyslexia Debate", dove si afferma che il termine dislessia va abbandonato perché  portatore della logica iatrogena della dispensa, che impedisce ai bambini  di recuperare le difficoltà di lettura e scrittura.

Di tutto questo parleremo e dibatteremo il 12 Maggio al MeMo di Modena.»

Ermanno Tarracchini

domenica, maggio 10, 2015

Non sequitur...

Mi ha scritto Xyz, una mamma di bambini con diagnosi di DSA. Questo lo scambio che abbiamo avuto.

Cara Xyz, mi hai scritto:

«Non credo che il corsivo [sia] cosi determinante nelle " cause" dei DSA , come la manualità , non lo metto in dubbio che si possa far rifiorire un Dsa e delle volte basta meno di quello che si pensa , ma negarne l'esistenza é come dire che é un problema che non esiste e presuppone che la scuola sia pronta per gestirlo senza diagnosi.....ma dove?»

(grassetto aggiunto da me)

Io so Xyz che sei una mamma forte e determinata, che si spende gratuitamente per gli altri. Abbiamo tanto discusso, per iscritto e di persona, e su molte cose siamo d'accordo. Per esempio siamo d'accordo che:

1) le difficoltà scolastiche, quale che sia l'origine, la scuola le dovrebbe gestire molto diversamente e meglio di come fa ora (classi più piccole, formazione dei docenti, didattica inclusiva, ecc.),
2) i docenti a volte sono pericolosi per i nostri figli (lavativi, frustrati, sadici, ecc.),
3) i genitori a volte sono pericolosi per i propri figli (iperprotettivi, immaturi, infelici, ecc.),

Poi abbiamo forti divergenze su questioni opinabili: io per esempio do un giudizio fortemente critico sulla legge 170 del 2010, che mi sembra, dal mio punto di vista di insegnante, amplifichi il disastro in atto invece di aiutare a contenerlo.

Vorrei però soffermarmi sui  due punti cruciali del tuo messaggio:

1) il corsivo non è poi così importante,
2) i DSA non è vero che non sono di origine organica e/o genetica.

Come scrivo da tempo, ho una "opinione" articolata sia sull'uso del corsivo in fase di apprendimento, sia sull'origine organica e/o genetica dei cosiddetti DSA. Queste mie convinzioni non sono "opinioni" personali immodificabili, ma derivano dai numerosi articoli scientifici che ho letto e, in quanto si tratta di scienza e non di opinioni, sono dispostissimo a cambiare idea.

Per il corsivo ad esempio è sufficiente che chiunque mi faccia leggere un solo articolo scientifico (con dei numeri e della statistica, non con delle ipotesi) che dimostri che due gruppi di bambini ai quali è stato insegnato il corsivo da una parte e lo stampatello maiuscolo dall'altra, hanno poi prestazioni scolastiche equivalenti (o difformi in modo non statisticamente significativo, per essere esatti). Ho invece trovato numerosi recenti articoli scientifici che dove al contrario sono descritte prestazioni maggiori per i bambini ai quali viene insegnato solo il corsivo (in particolare uno studio canadese su oltre 700 bambini). Uno studio del genere in Italia sarebbe auspicabile.

Sulle cause delle difficoltà di apprendimento è pure meno importante chi abbia ragione. Se, come portano a pensare le recenti indagini delle neuroscienze, il problema non dipende da aspetti fisiologici o genetici, la cosa migliore sarebbe abbandonare il termine "disturbo" e la medicalizzazione conseguente, concentrando ogni sforzo sul miglioramento della didattica. Se invece venisse confermata una predisposizione genetica, una familiarità che predisponesse all'insorgenza delle difficoltà di apprendimento, la cosa migliore sarebbe pure abbandonate la medicalizzazione sulla base dello stesso buon senso che fa scrivere ai ricercatori che sostengono l'ipotesi genetica che "in particolari condizioni didattiche la difficoltà non si manifesta". Tutti gli sforzi anche in questo caso andrebbero concentrati sul miglioramento della didattica, diffondendo le buone pratiche come Montessori e De La Garanderie.  Su questo so che siamo d'accordo.

Ma la cosa che mi lascia di stucco, cara Xyz, è l'illogicità apparente del tuo ragionamento: mi scrivi, parafrasando il tuo messaggio, che negare che i DSA siano disturbi (cioè "tare" mentali), significa negare conseguentemente che questi bambini abbiamo delle difficoltà. Questo è un non sequitur clamoroso.

E non deriva dal fatto che ci siamo espressi male, né tu né io. Ne sono certo perché è una costante, è una obiezione che mi è già stata fatta, magari dopo aver appena detto che le difficoltà vanno gestite e trattate per non aggravare la situazione.... Ma l'interlocutore non sta ascoltando, altrimenti non sarebbero possibili repliche così illogiche!

Deve esserci qualcos'altro...

La mia ipotesi è che appena viene prospettata l'idea che i DSA non siano di origine organica e/o genetica, l'interlocutore smetta di ascoltare con la ragione e vengano attivati forti meccanismi emozionali. La rabbia (di cui tu spesso mi hai parlato), la frustrazione, l'allarme, prendono il sopravvento.

Mi sembra che anche solo ipotizzare che i DSA non siano una malattia produca:

1) una minaccia all'identità (se il DSA non esiste, un pezzo della mia identità o di quella di mio figlio viene messo in dubbio,
2) ansia per la possibile perdita dell'unico aiuto relativo alle difficoltà scolastiche che mi è stato offerto da una scuola impreparata (se i DSA non esistono non ho diritto ad essere aiutato io come genitore o come affetto da DSA - e tutto ricade sulle mie spalle. Devo fare da solo, mio figlio deve fare da solo.)

Riflettici Xyz. E fammi sapere che ne pensi.

Con cordialità,
Stefano Longagnani

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